Quando Giorgia mi ha contattata per scrivere un articolo per il suo sito e mi ha lasciato carta bianca sull'argomento, mi sono davvero chiesta di cosa potessero avere più bisogno le persone oggi.
Mi sono domandata quali fossero i bisogni verso cui tendere e ho avuto diverse idee: ansia causata dalla quarantena oppure paura del covid oppure ansia sociale o ancora disturbo narcisistico di personalità e dipendenza affettiva, che sono argomenti molto in voga, soprattutto sui social...
Poi mi sono detta che non c'è nulla di più importante di ciò di cui sentiamo di essere privati in questo momento storico, ossia le relazioni.
Così mi sono messa a scrivere di relazioni e soprattutto di reciprocità nelle relazioni.
Vi racconto un po' come accade la reciprocità.
Quando nasciamo abbiamo, come dire, un assetto di un certo tipo, scientificamente chiamato temperamento, che indica la tendenza innata a reagire a determinati stimoli ambientali in un certo modo piuttosto che in un altro. Accompagnati da questo bagaglio, entriamo in contatto con il mondo, un mondo fatto di altri da sé e con caratteristiche tutte loro.
Noi cominciamo ad interagire con le figure che più ci sono vicine, di solito i genitori e, in particolare, la mamma. Iniziamo quindi a relazionarci con la figura che si prende cura di noi, con i suoi modi di fare e di accudirci e noi, con le nostre risposte e richieste, iniziamo ad imparare come si sta in quell'ambiente e in quella reciprocità.
In questo scambio interattivo costruiamo le fondamenta di noi stessi, a partire quindi dalle relazioni primarie di attaccamento.
Crescendo, queste interazioni diventano sempre più attive e noi piccoli impariamo ad avere più padronanza dell'ambiente attorno e così, pian piano, formiamo la nostra personalità.
Potremmo dirci quindi che la personalità di un individuo è un insieme di tanti fattori che si influenzano vicendevolmente: il temperamento alla nascita, l'ambiente di sviluppo, eventuali esperienze avverse e la reciprocità instaurata nelle relazioni durante i primi anni di vita.
Quando poi iniziamo a slegarci dalla famiglia di origine e cominciamo a puntare di più sui rapporti tra pari, con amici e al di fuori dell'ambiente domestico, ci sperimentiamo un po'. Procediamo per tentativi ed errori in adolescenza nel farci accettare dal gruppo, nel fare nuove esperienze (a volte trasgressive) e nell'instaurare nuove relazioni. Le nuove relazioni che instaureremo porteranno con sé una sorta di impronta dei rapporti passati. Così se abbiamo imparato da piccoli che quando ci faceva male la pancia ed eravamo vulnerabili, chi si prendeva cura di noi ci stava vicino e ci tranquillizzava, proveremo a riproporre uno schema interattivo simile, fatto di vicinanza, calore e risposte alle richieste. Al contrario, se ci saremo sviluppati in un ambiente poco affettivo e caldo, in cui le nostre richieste di amore non venivano soddisfatte, ci sentiremo molto autosufficienti, indipendenti e poco amabili.
Questi nostri sentimenti naturalmente ci faranno agire in un certo modo con le altre persone con cui verremo in contatto, in una modalità quasi automatica e inconsapevole. Gli psicologi chiamano queste modalità "schemi interattivi" o "cicli interpersonali" e questi stanno alla base della reciprocità comunicativa e relazionale.
Mi capita spesso nella pratica clinica di sentire racconti di come vanno le cose tra le persone e si coglie spesso una unidirezionalità dei comportamenti e delle interazioni, quasi come se sminuissimo o al contrario esagerassimo l'influenza che abbiamo nei rapporti umani, non riuscendo a cogliere quelle sottili informazioni che anche inavvertitamente mandiamo all'altro, come uno sguardo, un movimento o una smorfia della bocca, per esempio, che bastano a modificare tutto il momento di scambio.
Le relazioni sono vitali per l'essere umano e la reciprocità alimenta questo nostro bisogno.
Nasciamo e cresciamo nella reciprocità e ci nutriamo di essa in ogni relazione e ancor di più nei rapporti per noi significativi.
Giulia Spaggiari