La storia è indubbiamente originale.
Piper Kerman, bella, bionda, con gli occhi chiari, newyorkese, di buona famiglia, prende una cotta per una donna e se ne innamora a tal punto che molla tutto e va a vivere con lei, condividendone anche l'attività di trafficante di droga.
A un certo punto però si accorge che non è tagliata per questo genere di vita, così se ne va e si costruisce una carriera nuova e avvia una relazione con un bravo ragazzo.
Dopo qualche anno arriva una lettera: è stata condannata a scontare un periodo di detenzione a causa del suo passato.
Durante 15 mesi di carcere, Piper, a contatto con le diverse realtà dell'ambiente in cui è costretta a vivere, capisce ben presto che niente ti può preparare a un'esperienza simile, specie se sei una donna e nessun∂ ti spiega come funziona finché non ci sei.
Per cui, appena scontata la pena e tornata a casa, scrive "Orange is the new black", il cui titolo è riferito al cambio di colore del suo look, dal nero degli abitini alla moda all'arancione della divisa carceraria.
Il libro (2010, Rizzoli) racconta l'incontro di Piper con Nora, l'accusa, ma soprattutto la detenzione nel carcere di Danbury (nel Connecticut).
Ma racconta soprattutto le perquisizioni, le ispezioni delle cuccette e la fatica nello svolgere azioni che per noi sono la normalità come farsi la doccia e mangiare e comprarsi i generi di prima necessità.
Studiavo con molta attenzione le detenute con una pena più lunga. Natalie, per esempio, come ci riusciva? Com'era possibile scontare otto anni in quel posto desolante conservando intatte la grazia, la dignità e la salute mentale? A quali energie aveva fatto ricorso per resistere fino a quel momento, ad appena nove mesi dalla scarcerazione? Il consiglio di molte era: "Sei tu a dominare la pena, non viceversa". Come ogni cosa in prigione, andava imparata alla scuola dei maestri. Mi abituai alle varie consuetudini, e questo migliorò in modo esponenziale la mia qualità di vita.
Il tema è talmente scottante e innovativo, in quanto vero e senza ipocrisie, che il libro viene trasformato in una serie televisiva in cui Taylor Schilling interpreta Piper Chapman.
Il suo è indubbiamente il percorso più complesso. Inizialmente è timorosa, proprio come raccontato dalla Kerman, ma, nello scorrere delle sette stagioni, acquista sempre più sicurezza. Inizia un commercio di biancheria intima usata che la trasforma in una specie di boss mafioso: diventa quella pericolosa di cui le nuove devono temere. Il potere però inizia a darle alla testa e smette di avere rispetto e cura per le persone. Quando poi il traffico passa dalle mutandine alla droga allora capisce che è meglio vivere tranquilla piuttosto che far allungare la sua pena.
Attorno a Piper, vengono costruite le storie di altre detenute, ispirandosi in parte a quelle reali ma cambiando ulteriormente i nomi e mescolando le caratteristiche delle donne da lei incontrate.
La Nora del libro diventa Alex (Laura Prepon), che arriva a Litchfield sconvolgendo i piani sentimentali eterosessuali di Piper. Pop idiventa Red (Kate Mulgrew), la donna russa che detiene il potere in cucina e si comporta come la mamma che sorveglia le ragazze più deboli. In più, in stagione 3 viene aggiunto il personaggio di Judy King, ispirato alla reale esperienza carceraria di Martha Stewart.
Altre protagoniste invece nascono apposta per la serie tv.
Lorna (Yael Stone), Nicky (Natasha Lyonne) e Tiffany (Taryn Manning) sembrano vivere nel proprio mondo, dove la fantasia si confonde con la realtà e il sesso e la droga con la religione. Suzanne (Uzo Aduba) e Lolly (Lori Petty) hanno seri problemi mentali. Daya (Dascha Polanco), Gloria (Selenis Leyva), Flaca (Jackie Cruz), Maritza (Diane Guerrero), Aleida (Elizabeth Rodriguez), Maria (Jessica Pimentel) e Blanca (Laura Gomez) sono le esponenti del mondo latino, mentre Taystee (Danielle Brooks), Poussey (Samira Wiley) e Cindy (Adrienne C. Moore) di quello afroamericano, e la lotte di classe possono diventare molto pericolose in un carcere così piccolo (questo è il tema centrale della stagione 2). Sophia (Laverne Cox) è l'unica detenuta transgender, ma l'essere tra donne non le impedisce di essere comunque oggetto di pregiudizio... in più, ha un figlio e una moglie fuori, che subiscono le conseguenze delle sue scelte.
Gli uomini sono pochi e decisamente ininfluenti: appaiono come guardie corrotte, fissate col sesso e convinte che possano approfittare della situazione (ottenendo prestazioni o sfogando la propria rabbia) o capi senza coraggio, che seguono le regole imposte da chi li paga e non si preoccupano mai di guardare veramente la situazione del carcere. Obbediscono alle leggi dei soldi e del non volere problemi, non rendendosi conto che è proprio la noncuranza il vero problema.
A far "funzionare" veramente Litchfield sono queste donne, che svelano la propria storia (di dolore e sofferenza, soprattutto, il che spiega anche perché sono finite in prigione... i loro sono puri atti di ribellione) e imparano a sopravvivere contando solo su se stesse.
Non hanno quasi modo di redimersi perché non vengono aiutate ma punite, per cui, quando, in stagione 5, prendono il comando, assaporano per la prima volta la libertà e la vendetta. Vorrebbero essere trattate da esseri umani e ottenere giustizia, aiuto e condizioni igienico sanitarie adeguate, ma la situazione sfugge loro di mano.
Nemmeno le puntate della serie, come il libro, sono soggette a censura o ci "addolciscono la pillola" sulla reale situazione del carcere: sesso, violenza, razzismo, dipendenza dall'alcol e dalle droghe, brutali omicidi, minacce e ricatti non ci vengono nascosti bensì esposti in tutte le loro sfaccettature. Guardandola possiamo dunque capirne di più, compresi i lati buffi e comici della situazione...a volte, sentendo parlare le detenute, mi sembra di assistere ad un "Sex and the city" dietro le sbarre, nella versione eterosessuale, omosessuale, transessuale e pansessuale!
Farle chiacchierare e discutere è però anche un modo per farle confrontare su temi che riguardano il mondo femminile, come le molestie, i ruoli di madre e figlia, la difficoltà di trovare un lavoro e il rapporto con la spiritualità, non discostandosi molto dalla situazione di molte donne che invece vivono libere.
Quando poi alcune delle detenute (compresa Piper, in stagione 7) escono da Litchfield e si ritrovano davvero al di qua delle sbarre, la situazione non è molto florida. Il rischio di riprendere la precedente vita sbandata è sempre dietro l'angolo, le persone che conoscevano hanno imparato a vivere senza di loro e la società non è pronta ad accogliere chi ha sbagliato... anche se ha pagato.
Penso sia uno dei serial migliori mai prodotti. Stagione dopo stagione, non perde mai verve e mantiene sempre alta l'attenzione, mescolando abilmente commedia e dramma.
LINK DI APPROFONDIMENTO
Se volete truccarvi come Alex guardate questo tutorial