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 "Voglia di rinascita"

 

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 L’arcobaleno è il simbolo della comunità LGBTQIA+

 É il simbolo dell’uguaglianza nella diversità, la cui bandiera è stata creata da Gilbert Baker nel 1978. Ogni colore rappresenta un concetto: il rosso è vita, l’arancione è salute, il giallo è luce, il verde è natura, il blu è serenità, il viola è spirito. Poi sono stati aggiunti anche il marrone e il nero per rappresentare le etnie e, infine, il rosa, l’azzurro e il bianco per rappresentare le persone transgender.

 La panchina di questa foto è nel mio paese, davanti al complesso scolastico. Adoro che sia proprio in quel luogo perché possa servire come insegnamento non solo a chi frequenta quella via, molto centrale, ma anche alle giovani generazioni... perché imparino cosa significano totali rispetto e accettazione.

 L’ho scelta quindi come copertina di un post che illustra storie e racconti della comunità LGBTQIA+ ... di dolore ma anche di gioia. 

 Fare coming out è liberatorio ma anche difficile: si vorrebbe poter esprimere se stess3 ma si ha paura di non essere più accettat3 dalla comunità in cui si vive e anche dalla propria famiglia, che a volte ricorre a metodi drastici e violenti, compresa la "terapia di riconversione".

 Il primo coming out pubblico risale all'8 marzo 1972. quando Maria Silvia Spalato partecipa a una manifestazione femminista portando un cartello del "Fronte di liberazione omosessuale", ripreso fotograficamente anche dalla rivista "Panorama" (che fece un servizio in cui si vede anche Jane Fonda fra i partecipanti).

 É però altrettanto complessa la pratica del “queerbaiting”, ovvero l’accusa che viene rivolta di mostrarsi parte della comunità LGBTQIA+ senza rivelarlo… il che ha portato alcun3 ad un coming out forzato, che è anche peggio del farlo spontaneamente.

 In entrambi i casi, scatta dunque il voler essere definiti, ovvero: quale tra le lettere della comunità sei? Per alcun3 è semplice, ma per altr3 è difficile “inserirsi in una casella”.

 Qui non vogliamo forzarti a dire niente... ma a portare rispetto ed essere a tua volta rispettat∂. Perché i diritti devono essere di tutt3, altrimenti sono privilegi. 

 La libertà sta nell'accettare chi sei ed esprimerlo al meglio: La drag queen va contro lo stereotipo maschile azzerando la mascolinità tossica e avvicinandosi alle donne nell'aspetto e nelle lotte con rispetto - ha dichiarato Priscilla nell'incontro "Il femminismo è per tutti" - Ciò che prendo in prestito dalle donne mi fa essere una persona completa e un uomo migliore. Ava Hangar invece, nel podcast Anticorpi, ha confidato a Jennifer Guerra che il drag è il prendere il fallimento di ciò che avresti voluto essere e non sei e viverlo come rivalsa.

La prima drag queen della storia è William Dorsey Swann, una persona afroamericana vissuta nella seconda metà del XIX secolo. Organizzava balli privati, conosciuti appunto come "drags" in cui si estremizzavano femminilità e mascolinità e ci si esibiva in catwalk (una danza in cui si prendevano in giro le movenze dei bianchi), premiando chi vinceva con la corona e il titolo di "drag queen". Il termine diventa di dominio pubblico nel 1887, quando i giornali ne parlano a causa delle retate della polizia e vengono definit3 lascivi ed erotopati, dalla moralità disordinata. Swann presenta una petizione per difendere il diritto nella comunità queer a riunirsi in uno spazio libero da ogni forma di minaccia e violenza (come ho letto su "Il Post"), diventando così la prima attivista.

 

 Davanti all'identità di genere siamo tutt∂ neofit∂. Almeno se hai dai 30 anni in su. I giovani no, sono rapidi... e hanno già capito tutto.

 Iniziamo dunque dalla parte apparentemente più semplice senza la quale non si può parlare: le definizioni.

 Identità sessuale è quella che hai alla nascita... maschio o femmina (lasciamo perdere gli ibridi, per ora).

 Identità di genere è come ti senti: maschio, femmina, nessun∂ dei due, un misto tra i due.

 Silvia Ranfagni, a novembre 2020, era una neofita... come noi boomer. Aveva solo fatto qualche ricerca in internet per capire come rivolgersi a Madame, a cui doveva fare un'intervista. E forse sono stati quei fogli lasciati in giro per casa che hanno spinto la figlia Alba, 13enne, a dirle: "Mamma, sono trans". In quel momento, per spiegarlo con le parole di Silvia: Una valanga di contemporaneità è precipitata nella mia cucina.

 "Corpi liberi" (Spotify, Chora Media, 2022) è il podcast che racconta quell'esperienza. La storia di una mamma che deve affrontare una figlia che le racconta "Mercoledi ero femmina. Adesso non lo sono". Si domanda se è vero e perché non si sia mai accorta di tanto dolore e di un mondo in transizione.

 Dopo aver fatto altre ricerche in rete, Silvia Ranfagni incontra Mark, un ragazzo trans (era Marta e abita in un luogo sperduto della Sicilia), che risponde a quelle domande con frasi tipo: Fai male ad un corpo che abiti ma che non vivi [-] Era un atto di disprezzo nei miei confronti... è un modo per mettere tutto il dolore in una ferita e poterlo controllare. [-] Ora sono in terapia ormonale e non vedo l'ora di provare delle protesi.

Il compito del podcast dunque è portarci in questo viaggio "da Alba ad Alex" con tutti i dubbi e le preoccupazioni che assillerebbero ogni mamma, ogni papà, ogni nonna... ci sono rifiuti, paure per il futuro, terrore per le reazioni altrui, tentativi di far rasare i peli sulle gambe ma di far tenere i capelli lunghi, cervelli che si rifiutano di comprendere, visite ai centri specializzati e, infine, Smetto di cercare di capire e faccio l'unica cosa possibile... accogliere [-] É l'atto di insultare a meritare disprezzo, non tu che te ne stai rispettosamente al mondo [-] Ci ho messo un anno a capire che sei esattamente la persona che ho sempre voluto che diventassi.

Una volta chiarite le definizioni, veniamo quindi alla domanda successiva: quanto può essere spaventoso il ballo della scuola per chi ha un'identità sessuale non accettata?

 

 Per Emma Nolan, a cui è stato proibito di parteciparvi con la sua ragazza, lo è talmente che decide di sfogarsi su Twitter.

 Il suo appello viene letto dai plurupremiati attori Dee Dee Allen e Barry Glickman, dalla ballerina di fila Angie Dickinson e dall'ex stella dei telefilm Trent Oliver, decisi a diventare attivisti di una causa qualsiasi pur di attirare l'attenzione su di sé. Convinti di riuscirci facilmente con quella di Emma, partono per l'Indiana.

 La trama di "The prom" (film del 2020) è solida e non si perde in manierismi, affrontando temi come il bullismo e la discriminazione.

 Gli abiti e il trucco hanno colori decisi e scintillanti. Coreografie e canzoni irrompono nella giusta misura, fluenti nel prosieguo degli eventi.

La regia è di Ryan Murphy: "American horror story", "Feud", "Hollywood", "Pose"... tutte produzioni che adoro (e che trovi recensite in questo sito). E, nel cast, James Corden (che dopo "Into the woods" e "Cats" ha finalmente un ruolo da protagonista), Meryl Streep (vederla cantare, recitare e ballare sempre vale il prezzo del biglietto...sempre) e la deliziosa Nicole Kidman (che finalmente abbandona l'aria algida per diventare morbida e bellissima...è lei la mia vera ispirazione in questo film).

Perciò non solo lo riguarderò ancora e imparerò le canzoni, ma aggiungerò anche dello ZAZZ alla mia vita!

  

 

 Il ballo della scuola è spaventoso anche per Jamie New, un 16enne che vive a Sheffield (l'ambiente è simile a quello di "Full monty" e "Billy Elliot") con la madre.

 La scuola ha accettato il suo coming out ma non il voler presentarsi al ballo vestito da drag queen. Secondo la professoressa, turberebbe gli altri partecipanti e concentrerebbe troppo l'attenzione su di sé.

 Jamie infatti si sente invisibile (Sono brutto. Non sono nessuno. Non sono nulla. Sono disgustoso). Solo l'amica Pritt (una musulmana che vuole andare a Cambridge e diventare un medico) riesce a dargli il coraggio di esporsi. Hugo, del negozio di abiti, gli fa invece capire l'importanza di crearsi una personalità che gli permetta di essere davvero sé stesso.

Ispirato alla vera storia di Jamie Campbell, il musical "Tutti parlano di Jamie" (film del 2021 di Jonathan Butterell) vede Max Harwood come star indiscussa e di talento, affiancato da Sarah Lancashire, Lauren Patel, Sharon Horgan e Richard E. Grant.

 

 

 

 

 A New York, alla fine degli anni ‘80, non è facile, essere gay: le prese in giro e le umiliazioni non mancano. In più, i ragazzi escono presto da casa perché non solo non si sentono approvati dalla famiglia, ma anche brutalmente picchiati e considerati persi o morti. L’omosessualità è un peccato. 

 Se poi sei trans, la vita diventa insopportabile: la discriminazione ti tratta peggio delle donne, dei gay e dei neri, ma puoi entrare (di nascosto) nel letto di qualche uomo d’affari dei quartieri alti devoto a Donald Trump (e sentirti dire: Sono io quello che si traveste da persona per bene, mentre tu sei quella vera).

 In quegli anni poi si inizia a diffondere una malattia mortale, l’Hiv. Chi la contrae, come Blanca Rodriguez, pensa di aver ricevuto una sentenza di morte, e solo grazie all’amico Pray Tell capisce che è il momento di mettere i tacchi più alti e realizzare il suo sogno: smettere di obbedire alla temibile Elektra di Casa Abundance e partecipare con la propria crew alle Ball, una sfilata  in costume dove si ricevono voti e trofei, il cui motto è La categoria è: vivi, sfoggia, posa (da cui il titolo del serial, "Pose") e i cui look sono sempre pazzeschi. 

 Fonda così la Casa Evangelista, che accoglie ogni anima persa, persone alla ricerca della propria strada, comportandosi come una vera e propria madre per Angel, Damon e Lil’Papi e cercando di salvarli dalle discriminazioni e dal sesso non protetto e dando loro delle opportunità per togliersi dalla strada e avere una vita e una carriera.. 

 La malattia però colpisce sempre più persone, così è tempo che le Ball, nate come divertimento, diventino attiviste, perché il silenzio, secondo Act Up, è sempre più sinonimo di morte. 

Quello che Blanca ci insegna è una lezione di dignità e rispetto e fiducia in se stess3 e nei propri sogni ma anche di altruismo e di amore per la propria comunità. 

 

 

 La sigla LGBTQIA+ racchiude diversi orientamenti sessuali che non rientrano nell’eterosessualità, dandone una definizione. Ma cosa accade quando non si vuole essere definiti? 

 Accade che il mondo arcobaleno pensa che non hai il coraggio di essere ciò che sei e che il mondo conservatore pensa “come posso capirti e aiutarti se non sai nemmeno tu cosa sei?”

 Con questa domanda inizia “GOD SAVE THE QUEER - CATECHISMO FEMMINISTA” (Einaudi, 2022), il libro di Michela Murgia che si domanda come la capostipite del mondo conservatore, la religione, si possa conciliare con la capostipite del mondo arcobaleno, la queerness, e con il capostipite dell’inclusività, il femminismo.

 La scrittrice si fa questa domanda ponendo anche argomentazioni che forse non ci si aspetterebbe da una persona che ha fede: Le raffigurazioni di Dio maschio sono sempre state concettualmente sbagliate, lo erano pure duecento anni fa. Averle tenute davanti agli occhi dei credenti per secoli le ha sacralizzate e rese un errore spirituale di portata monumentale. Se la verità del mistero trinitario fosse davvero riassunta in quell’immagine, ogni persona con un minimo di giustizia, femminista o no che sia, dovrebbe non solo abbandonare il cristianesimo senza ripensamenti, ma persino girare con una piccozza e una bomboletta spray, pronta a dissacrare con una furia iconoclasta quella rappresentazione di Dio piatta, abbruttente e intrinsecamente violenta. 

 A quanto pare, la prima cosa da fare è smetterla di pensare a Dio come a un’anziano padre onnipotente che detta le leggi, ma come a una molteplicità di forme (lo si evidenzia anche nella Bibbia), il cui compito non è risolvere problemi di cui non vogliamo prenderci la responsabilità, ma aiutarci a trovare soluzioni accettando anche il fallimento e l’errore, accogliendoci nel confronto e nel dialogo. 

Michela Murgia esprime le sue argomentazioni con cognizione di causa, saltando da Harry Styles a “Schindler’s list”, da “Cenerentola” alla “Trinità” di Rublëv con fluidità e competenza. Arriva così a farci comprendere come sia la visione dogmatica della religione che ci è stata imposta ad essere sbagliata, non la fede e tantomeno Dio, i quali possono coesistere con il nostro essere e con le nostre convinzioni, qualunque esse siano.

Ps: Risale a febbraio 2023 la notizia che la Chiesa anglicana stesse valutando l'idea di utilizzare termini senza genere per riferirsi a Dio. Personalmente credo sia una soluzione inclusiva e corretta.

 

 

 

 

 

 

Coinquilin* di guardopenso: