Al fine di fornire la migliore esperienza online questo sito utilizza i cookies.

Utilizzando questo sito, l'utente accetta l'utilizzo dei cookies.

Newsletter !!!

 

 "Voglia di rinascita"

 

Leggila qui 

 

 

0
0
0
s2sdefault

 

 Come mettiamo nelle culle fiocchi azzurri e rosa per distinguere se un bebè sia maschio o femmina, così decidiamo che sport debbano seguire una volta cresciut3.

 L’attività sportiva è sempre consigliata per bambini e bambine, per molte ragioni: rafforza fisicamente, aiuta a socializzare, distrae loro la mente dalle incombenze scolastiche. D'altronde, dal 20 settembre 2023, La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell'attività sportiva in tutte le sue forme. Il che significa che è un diritto per tutt3

  La scelta di tale attività è compito inizialmente dei genitori: guardano le attitudini della propria prole o si chiedono che cosa potrebbe fare o cosa piaceva fare a loro stessi quando erano piccoli (e magari non hanno mai fatto)… e scelgono.

 Può capitare che bambini e bambine accolgano questa scelta entusiasticamente, impegnandosi perché lo vogliono e perché amano quello sport.

 Può capitare che lo detestino e preferiscano fare altro. Ma spesso non lo dicono perché “ormai l’hai fatto per tanti anni, devi finire” oppure perché “ho sempre voluto che mio figli∂ diventasse quel genere di atleta”.

 Nel caso in cui “si azzardino” a dirlo, ecco che allora potrebbero sentirsi chiedere: “E cosa vuoi fare allora?”, loro propongano un’alternativa e la risposta è: “No. Questo sport non è per te”.

 Un ragazzino che ama la danza? No. Una ragazza che vuole giocare a calcio? No. 

 Purtroppo quella tremenda frase non risuona però solo nelle menti dei genitori, che minimizzeranno la scelta e cercheranno di indirizzarla altrove (a volte con obbligo), ma anche in allenator3 e in dirigenti sportiv3. 

Non si punta su certi tipi di persone… ma non per mancanza di talento, ma per pregiudizi di identità di genere o razziali… e si punta su altr3 per lo stesso identico motivo.

Il risultato sono ragazz3 svogliat3 e team sportivi poco performanti.

Nel caso più “felice”. 

Perché in quello più “infelice” si tratta di abusi sessuali, verbali ed emotivi. Subiti e non potuti denunciare, perché il sistema, in nome dei soldi circolanti e della pubblicità, protegge chiunque tranne chi li deve affrontare ogni giorno. Che dunque prova a rimediare come può, usando farmaci, lassativi, eccessivo allenamento, diete rigidissime. A discapito della salute. Il vero rimedio è imparare a riconoscere e prevenire gli abusi: ti può aiutare il sito changethegame 

In questo discorso conta indubbiamente il gap tra il compenso per gli sportivi maschi e le femmine. Se è vero che lo sport è tutta questione di guadagni, allora anche questo aspetto non va sottovalutato, come ha dichiarato la commissaria tecnica della squadra azzurra di calcio, Milena Bertolini, a "Grazia": É tutto collegato: se dai la possibilità alle atlete di allenarsi e lavorare con staff preparati, sale la qualità del gioco, la gente si avvicina di più al calcio femminile, aumenta il tifo e cresce il business. 

E conta il fatto che la distinzione di sport "per femmine" e "per maschi" colpisca anche atlet3 transgender. Quando si tratta di ammetterl3 alle competizioni devono per legge mostrare documenti su quando sia iniziata la transizione in modo da capire che tipo di muscoli abbiano sviluppato. A mio parere questo suona come "bambino, se vuoi fare la tennista da grande cambia sesso ora perché poi ti sarà impedito di andare in gara". Oppure devono mostrare livelli di testosterone ed estrogeni "accettabili". Non sarebbe più semplice accettare le diverse corporature qualunque sia il sesso della persona? Troppo poco patriarcale?

In questo post si parla di tutt3 loro.

 

  

 Gli scacchi non sono "un gioco per tutt3".

 Sono un'arte, in cui calma e concentrazione fanno parte delle regole e saper leggere nel pensiero altrui è fondamentale per vincere.

 Per Elizabeth Harmon gli scacchi sono anche una via di fuga. Il padre l'ha abbandonata, la madre è morta in un incidente, lei arriva in orfanotrofio e la misteriosa scacchiera del custode è l'unica fonte di gioia, anche se inizialmente le viene detto che le ragazze non giocano a scacchi. 

 Ma Elizabeth ha un istinto naturale e scopre anche che, se prende la pillole prescritte in una determinata sequenza, può rimanere sveglia e continuare a giocare e imparare immaginando gli scacchi muoversi sul soffitto della sua stanza.

 La sua passione diventa una carriera quando la madre adottiva, lasciata dal marito, scopre che chi vince guadagna soldi, così la sprona a continuare pur di mantenere lo stile di vita a cui è abituata. La velocità e la bravura di Elizabeth disarmano ogni avversario, anche i più preparati, ma lei punta dritto verso il numero 1, il russo Borgov, mentre intorno a lei tutto cambia: il preside le dice che può saltare le lezioni, le ragazze la invitano alle feste, a scuola tutt3 vogliono parlare con lei… la fama e la notorietà le danno un posto di rilievo nella società.

 Sono sempre stata incuriosita dagli scacchi e ho avuto spesso il desiderio di impararli. Mi sono perciò avvicinata a "LA REGINA DEGLI SCACCHI" (miniserie del 2020 in cui Elizabeth è interpretata da Ana Taylor Joy) con aspettative alte, anche considerate le molte recensioni entusiaste. Ma non mi ha del tutto convinta. 

Se fossi una scacchista, probabilmente avrei voluto vedere più spiegazioni tecniche, perché chi non è capace di giocare vede muovere dei pezzi in silenzio senza capire del tutto il ragionamento che c'è dietro, dando così l'impressione di un gioco noioso e impegnativo... quando invece è passionale e coinvolgente (il libro di Walter Tevis da cui è tratta la serie è più specifico, fortunatamente). Nona Gaprindashvili, a cui il personaggio di Elizabeth è ispirato, pensa anche che non racconti appieno la sua brillante carriera e l'ha affermato decisa sui giornali e in tribunale.

Da ammiratrice di fotografia e scenografia sono però stata deliziata da ogni apparizione degli scacchi sul soffitto e dall'atmosfera e dai look sempre perfetti e tutti da copiare.

 

 

 Le sorelle Venus e Serena Williams sono entrate nella storia del tennis per i premi vinti e per la tenacia con cui hanno affrontato ogni sfida. È stato il padre a spronarle e il film "UNA FAMIGLIA VINCENTE" (2021, Reinaldo Marcus Green) racconta come ha fatto.

 Richard Williams è un uomo "con un piano", testardo e ambizioso. Negli anni '80 e '90 sente sempre più spesso notizie di persone aggredite solo per il colore della pelle, e sente anche notizie di giovani talenti sportivi bruciati dalla droga e dalla fama. Non vuole che lo stesso possa accadere alle figlie Venus e Serena, adolescenti con una passione per il tennis. Vuole proteggere la loro anima.

 Perciò, pur facendole allenare con i migliori, le tiene lontane da certi ambienti competitivi e punta tutto sull'educazione e sull'istruzione. Ma le due vogliono far vedere che tenniste sono diventate quindi ascoltano i consigli del padre con determinazione, vincendo più volte i premi più importanti e prestigiosi e diventando un punto di riferimento per tutte le donne di colore che vogliono avvicinarsi a questo sport.

Venus e Serena hanno contribuito ad abbattere pregiudizi e stereotipi, rivoluzionando quelle regole non scritte sul come vestirsi (preferendo uniformi eccentriche e firmate) e comportarsi in campo (non solo facendo valere le proprie ragioni ma anche sul come esultare: dopo Serena anche le altre donne iniziarono a farlo liberamente) e sulla conformità dei corpi (le Williams apparivano all'opinione pubblica troppo muscolose e poco attraenti).

Inoltre sono intervenute in prima persona sulla disparità dei montepremi far uomini e donne e Serena, incinta, ha battuto il record di 22 vittorie di Steffi Graff, continuando a giocare mentre allattava ed in stato di depressione post-partum, dimostrando così che atletismo ad alti livelli e maternità possono coesistere.

Coinquilin* di guardopenso: