Il lavoro sessuale è più complesso di quanto si pensi.
Questo è un sito progressista e di mente aperta quindi quello che ti chiedo è di superare la prima immagine che ti viene in mente, ovvero quello della prostituta in strada che agita la borsetta, e anche la seconda, quella della escort.
Non che queste professioni non esistano, ma non sono le uniche. Sono le più comuni perché, da quando sono state chiuse le case di tolleranza nel 1958, la strada o luoghi privati era praticamente l'unico luogo dove praticarlo.
Oggi, utilizzando la tecnologia, si è sex worker anche vendendo foto sui siti e facendo chat erotiche.
Era ed è un lavoro, comunque. Io ti produco un contenuto erotico e/o pornografico (soft o hard) o ti vendo una prestazione, tu mi paghi per ess∂: io sono una sex worker e tu sei un∂ cliente. Semplice no?
Come gestire la professione e dove mettere i limiti è esclusiva decisione di chi fa sex work.
Simone De Beauvoir,nel volume "Il secondo sesso" scritto nel 1949, aveva già idee molto chiare in proposito: Il matrimonio ha quale immediato correlativo la prostituzione [-] L’esistenza di una casta di “donne perdute” permette di trattare le “donne oneste” con i maggiori riguardi. La prostituta è un capro espiatorio; l’uomo si scarica su di lei della propria turpitudine quindi la rinnega. La prostituta è considerata una paria, sia che uno statuto legale la ponga sotto la tutela della polizia, sia ch’ella lavori clandestinamente. [-] La prostituta non ha i diritti della persona umana e in lei si riassumono tutti i simboli della schiavitù femminile. [-] La gente si chiede: perché l’ha scelto? e si dovrebbe domandare invece: perché non avrebbe dovuto sceglierlo?
É un lavoro, pagato anche bene, per cui non c’è bisogno di una specifica preparazione, se non quella psicologica e sanitaria: si tratta solo di offrire delle prestazioni. Che non vuol, dire, attenzione, “vendere il proprio corpo”: il corpo continua ad appartenere a una persona, che ne decide in merito.
Mi ha fatto dunque molto piacere leggere che il 2 giugno 2023, in occasione della Giornata internazionale del sex work, si è tenuto un congresso a Bologna che ne ha parlato, il primo dopo oltre vent'anni. Perché è importante imparare a parlarne nei termini corretti, innanzitutto, che è la prima forma di rispetto.
Meno piacere mi ha fatto sapere che l'intelligenza artificiale sta entrano prepotentemente anche nel mondo del sex work... il che significa purtroppo ridurre il lavoro per le persone vere e aspettative sempre più alte da parte di chi ne fruisce. Il web sarà sempre più pieno di corpi perfetti e il sesso reale invece è fatto di corpi "imperfetti" e diversi... come la risolveremo?
In questo post cercherò di capire come ci si approccia a questo mondo, offrendovi contenuti filmati e cartacei per comprenderlo meglio, in tutte le sue sfumature… cercando di correggere i pregiudizi per imparare ad avere più rispetto per chi fa sex work.
Mi sono imbattuta in Giulia Zollino quando cercavo ispirazione per questa sezione, Antinnocenza. Cercavo qualcun∂ che parlasse di sesso in modo competente e serio.
Ho visto molte divulgatrici ma ho scelto lei: un'antropologa e un'educatrice che mi ha letteralmente travolto.
Ci ho messo un po' a capire di cosa si occupasse veramente, ma è tuttora ai primi posti fra le mie Instagram stories preferite. Purtroppo non ho potuto vedere live il suo TED Talk, ma, qualche tempo dopo, sono andata apposta a sentirla parlare a un festival e le ho fatto i complimenti facendomi firmare, con molto orgoglio ed emozione, la mia copia di questo libro.
"Sex work is work" (Ers, 2021) parte dal presupposto che il lavoro sessuale è appunto una professione: uno scambio tra una prestazione (ripeto: nessun∂ "vende il proprio corpo": esso rimane a chi lo possiede e ne fa liberamente ciò che vuole) e dei soldi, deciso di comune accordo. Tutto intorno però si è creata un'atmosfera carica di violenza, pregiudizio e stigma che annienta il rispetto per la persona e anche i suoi diritti umani, pure quelli basilari.
Giulia Zollino ha deciso di parlarne in modo semplice e chiaro perché unicamente facendo educazione e cultura si impara a non offendere e sminuire ciò che ci fa paura solo perché non lo conosciamo.
Chi fa sex work di solito viene chiamat∂ con termini svilenti: in poch3 usano quelle due parole che, seppure in inglese, esprimono semplicemente ciò che una persona fa, non ciò che è: il/la sex worker lavora con il sesso (in un mercato variegato, offrendo molteplici tipologie di servizi e trovando le proprie strategie per tutelare la sfera privata) esattamente come chiunque altro venda un servizio... la differenza è che in nessun altro servizio si chiama chi lo fornisce con epiteti offensivi perché è ritenuto un lavoro dignitoso. E, se il sex work non è percepito come altrettanto dignitoso, non viene trattato come tale.
Spetta invece solo a chi lo fa definirne i corretti termini per parlarne. Come la tecnologia ha un linguaggio che abbiamo imparato, così dovremo fare anche col sesso. Iniziando e finendo sempre col rispetto. Il sex work non è né oppressione né emancipazione ma semplicemente un'opzione che si può scegliere per sopravvivere, consapevolmente, e niente ci autorizza a calpestare la dignità della persona che fa questa scelta.
Nel libro si parla dunque di leggi nazionali e internazionali, di sessualità come mezzo per autodeterminarsi, di sfruttamento e tratta, di come l'immagine di chi fa sex work venga usata per giustificare un certo tipo di politica (proibizionista, abolizionista, classista, sessista, eurocentrica) e di cosa realmente significhi essere chiamat∂ "puttana" e qual è lo stigma che accompagna questo termine.
Ma, soprattutto, apre gli occhi sui tanti pregiudizi e stereotipi che abbiamo accumulato coi film, le barzellette e la cronaca. Parole che interiorizziamo al punto da non pensare che esista un'altra versione del sex work, quella reale.
In meno di 100 pagine, Giulia Zollino condensa anni di visioni distorte e una verità chiara, semplice e documentata.
Arrivat∂ alla fine ci saranno tante domande che ti ronzeranno in testa.... ed è questo che deve accadere per abbattere uno stigma. Farsi venire dei dubbi e non smettere di documentarsi in modo corretto e dalle persone competenti.
Le tariffe di “Madame Claude” (2021, Sylvie Verheyde) sono chiare fin dall’inizio: 500 franchi per 2 ore e lei si prende il 30%.
La maitresse più famosa di Parigi ha capito ben presto che se il mondo ti tratta da puttana, tanto vale esserne la regina e usare il tuo corpo come un’armatura, per non dover subire mai più. Il suo ufficio diventa quindi il luogo di incontro tra sesso e potere, ai massimi livelli: I soldi ci proteggono e ne approfittiamo tutte.
Il corpo diventa uno strumento di lavoro, quindi se lavori per lei devi prendertene cura. E devi sempre lasciare che sia la testa a guidarlo, mai il cuore.
Nel film si presentano sempre due facce del sex work. Da un lato una che diventa sempre più ricca e potente e felice, dall’altro, nella scena immediatamente successiva, una costretta a subire. Da un lato la sex worker che sceglie, dall’altro quella che non ha scelta.
Ramona, Destiny, Annabelle, Elizabeth, Mercedes, Diamond e Liz sono il rovesciamento della realtà.
Nella vita che siamo abituati a conoscere, gli uomini ricchi (soprattutto quelli di Wall Street, se la realtà è New York) spendono i loro soldi negli strip club, assumendo droghe e alcol e facendoli assumere alle ragazze, per avere uno spettacolo privato o sesso.
Qui, invece, succede il contrario: nel 2008 il mercato finanziario crolla e i club per uomini si svuotano. Così, Ramona e le sue ragazze decidono di rovesciare la situazione a proprio vantaggio: saranno loro a drogare gli uomini per prendere i soldi. Diventano così le vere padrone di New York e possono gestire le proprie vite senza dover dipendere da nessun∂, sviluppando vera amicizia tra donne.
E Ramona non poteva essere interpretata da nessuna che non fosse Jennifer Lopez. Solo una donna adulta con un fisico esplosivo e una grande padronanza del palco (i suoi concerti sono molto energetici) e degli affari (ha una solida carriera alle spalle, che si è sviluppata tra cinema, tv, musica e moda) può essere credibile nel ruolo.
La prima scena in cui appare, con Constance Wu (che, registicamente, ricorda la prima scena tra Renée Zellweger e Catherine Zeta-Jones in "Chicago") è super cool: ti lascio il link (questo) non per creare invidia ma per dimostrare quanto può essere brava e sexy una donna di 50 anni... quando una lo è, lo è, bisogna ammetterlo.
Il messaggio, seppur edulcorato con look strabilianti, è chiaro, ed è proprio JLo a dircelo: Questa città, tutto il Paese, è uno strip club: ci sono persone che lanciano soldi e ci sono persone che ballano.
(Jennifer Lopez, Constance Wu, Lili Reinhart, Julia Stiles, Keke Palmer, Cardi B e Lizzo sono "LE RAGAZZE DI WALL STREET" film di Lorene Scafaria del 2019)