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 "Voglia di rinascita"

 

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...che domanda complicata!

 Di primo acchito mi viene da rispondere SI: allarghi le amicizie, impari cose nuove, sei sempre informat∂, fai le ricerche in modo veloce (sul corretto... bè, dipende da che siti frequenti), apri la mente a diversi concetti e possibilità, puoi vedere e parlare con chi abita lontano e vorresti frequentare più spesso.

 Ma la realtà mi ha insegnato di NO: essere sempre e costantemente connessi ci distacca dal mondo reale e da ciò che succede a un metro da noi, vieni a contatto con persone che non dovrebbero stare nella tua vita e hai l'impressione che ti sia richiesta un'opinione su tutto ciò che accade e di dover sempre essere presente.

 Noi "boomer" (tanto per usare un termine "moderno") non siamo cresciuti immersi nella tecnologia, quindi abbiamo imparato ad averne uno sguardo distaccato. Io prendo ancora appunti con la biro e un foglio e non nelle note del telefono, per esempio.

 Ma le giovani generazioni "nascono col telefonino in mano" e sanno che esiste una videocamera che li immortala in ogni momento e quindi vivono il dover essere sempre online in maniera spesso troppo esagerata.

 Senza parlare del ruolo delle donne, spesso dietro le quinte o neanche citato se non quando si tratta di pubblicizzare elettrodomestici o dare la voce a un navigatore e/o a un assistente elettronico in quanto è usanza patriarcale pensare che le donne svolgano solo ed unicamente un ruolo di cura della casa e della persona. L'emancipazione femminile può passare anche attraverso la tecnologia???

 A tutte queste domande cercherò di trovare risposta in questo post.

  

 Il primo significato della parola "computer" (apparsa su un annuncio del "New York Times" nel 1892) era "una donna che computa".

 Il lavoro, offerto dall'United States Naval Observatory, consisteva nel calcolare a mano le posizioni della luna, delle stelle e di altri pianeti, e solo le donne potevano farlo perché era noioso, sottopagato e si poteva svolgere anche da casa.

 Nessun∂ lo sapeva, ma quelle donne computer hanno contribuito alla nascita della tecnologia informatica e di internet e Claire L. Evans le racconta nel libro "CONNESSIONE", pubblicato da Luiss nel 2020

 Alcune di queste pioniere sono:

 - Ada Byron incoraggiata a studiare matematica perché non diventasse una poetessa pazza come il padre (Lord Byron...hai presente??), scrive le note tecniche di una macchina analitica

 - Grace Hopper lavora alla IBM su un rudimentale computer alto due metri e mezzo e del peso di cinque tonnellate, che va a vapore e risolve problemi balistici militari

 - Betty Holberton inserisce nella programmazione anche le lettere (oltre a numeri e simboli) e insegna alla macchina come leggere i programmi e valutare i dati statistici senza il controllo umano

 - Patricia Crowther speleologa, è la prima a pensare a un programma in cui ci si possa muovere come all'interno delle caverne, creando così il primo videogioco di avventura

 - Pam Hardt-English pensa che le informazioni possano essere passate da un computer all'altro

 - Jude Milhon lascia un computer in un negozio di dischi, a disposizione del pubblico, che inizia a scrivere commenti, creando così la prima community

 - Wendy Hall crea i link per collegare documenti di varia natura in uno stesso file...

Queste e molte altre donne si occupano di tradurre il linguaggio in simboli informatici (esisteva l'unità di misura "girl" addirittura: 1kgirl = 1000h di calcolo) mentre altre lavorano attorno alle macchine (portando anche conoscenze ingegneristiche e intellettuali, non solo manualità): "Per qualche secolo, gli hardware furono gruppi di donne che lavoravano in alveari o "harem": macchine biologiche in grado di compiere calcoli prodigiosi che andavano oltre le capacità mentali di un singolo individuo, calcoli che catalogarono il cosmo, mapparono le stelle, misurarono il mondo e costruirono la bomba atomica". 

Il loro lavoro, però, non è mai stato riconosciuto: ad apparire in pubblico erano quasi sempre uomini che ripetevano ciò che è stato loro raccontato, fingendo di aver avuto un'intuizione e nascondendo che essa era il frutto di molte ore di lavoro e di sacrifici compiuti dalle donne del loro team... pochi sono gli uomini che le hanno valorizzate e riconosciute come artefici del successo. Come i computer su cui lavorano, erano giudicate troppo rumorose e costose e innovative.

Questo libro rende loro giustizia raccontandone le storie e insegnandoci anche molto sullo sviluppo dell'informatica e di internet.

 

 Nel 1957 quando si ha una curiosità ci si può rivolgere all'Ufficio Quesiti. Un gruppo di zelanti segretarie risponde a domande al telefono sugli eschimesi, sul calcio, sull'agricoltura, sulla Bibbia... Hanno buona memoria e sono cortesi e in grado di ricordare e reperire molte informazioni in breve tempo.

 Un giorno in quell'ufficio arriva "un tecnico dell'automazione" e la brillante Bunny Watson e le sue colleghe scoprono che non si tratta di una miglioria ma di un cervello elettronico che potrebbe sostituirle.

 Quindi lei non solo deve destreggiarsi tra il tecnico e il capo ufficio, con cui ha una relazione complicata, facendo valere la sua libertà, ma anche mettersi in competizione con un ingombrante macchinario che teme polvere e correnti d'aria e trova le risposte molto velocemente… troppo velocemente. Rischiano tutte il lavoro. A meno che non imparino a "convivere" facendo collaborare le loro competenze…

(Bunny Watson è interpretata da Katherine Hepburn nel film del 1957 "LA SEGRETARIA QUASI PRIVATA" di Walter Lang)

  

 

 I computer non esistono se qualcunə non dà loro un'anima. 

 Il regista Victor Taransky l'ha fatto con S1m0ne. Ha inventato un'attrice modellandole viso, voce, corpo e movenze sulle sue preferite e le ha dato un nome che contiene i caratteri 1 e 0, il linguaggio binario su cui sono basati i computer.

 L'ha fatta recitare, cantare, andare in auto, ricevere dei premi, vivere in stanze d'albergo, partecipare a missioni umanitarie... morire e resuscitare.

 Ma S1m0ne non esiste e l'anima è quella tormentata e desiderosa di approvazione del regista. E presto si accorge che vivere di luce riflessa non gli basta…

 Guardandoli, ci rendiamo conto di quanto siamo alla ricerca di amore e lodi e che non ci accontentiamo di niente di meno della perfezione, anche se finta, non rendendoci conto che quella vera può venire solo da noi stess3. In un mondo dominato dai social, Victor Taransky siamo noi.

 (Rachel Roberts è S1m0ne nell'omonimo film di Andrew Niccol del 2002).

 

 

Al di là delle macchine che si comportano come esseri umani, uno dei principali "problemi" della tecnologia sono i social network: nati appunto con lo scopo di socializzare on line, sono diventati una vetrina in cui mostrare una vita che nella realtà non esiste e uno spot pubblicitario manipolatorio. 

 

Molti, dopo averlo visto, hanno cancellato tutti i loro account. Io no.

 Perché, seppur realizzato con molta cura, "THE SOCIAL DILEMMA" non mi ha raccontato niente che non sapessi già.

 Per la questione "boomer & millenials" di cui parlavo all'inizio, sono ben consapevole del significato di iscriversi a un social network: ho sempre detto che, ogni volta che vi accedi, è come urlare fortissimo qualcosa di te che tutt3 verranno a sapere. Non solo: ma i social useranno le tue preferenze per venderti ciò che ti piace e anche qualcosa in più (è quello che accade a Tom Cruise in una profetica scena di "Minority report").

 A confermarcelo, in questo docufilm, sono professionisti di rilievo all'interno di Facebook, Instagram, Google, Youtube, Twitter e Pinterest, i quali ci raccontano che l'essere umano è l'attuale future del mercato (in pratica, ciò che le arance erano in "Una poltrona per due"). Sapendo sempre più precisamente cosa gli piace (attraverso un bombardamento continuo di informazioni) possono vendergli un oggetto o la partecipazione a qualcosa che farà loro guadagnare soldi.

 La parte film infatti segue il giovane Skyler Gisondo e ci fa capire come i social siano in grado di condizionare il suo modo di agire e di pensare senza preoccuparsi dei suoi reali bisogni. Come lui, condizionano altri milioni di teenagers e di adulti, e non solo chi non ha abbastanza cultura da saper fare delle distinzioni ragionate su ciò che legge, ma lo hanno fatto anche sugli stessi professionisti del settore provocandone una dipendenza. Causando problematiche gravi e dannose all'intera società.

Se ne può uscire? Certo. Spegnendo i social o usandoli in modo più etico. Peccato che il film suggerisca come solo durante i titoli di coda.

 

 

 Federica Micoli sui social ha avuto due vite.

La prima è Closette, quella di una ragazza che ha aperto un blog per parlare di viaggi, moda e ristoranti. Ha iniziato ad avere seguito quindi le sono arrivati regali e proposte di collaborazione. 

 È diventata un'influencer. Una di quelle persone che lavora su un progetto decidendo in modo autonomo e seguendo gli orari e i luoghi che preferisce.

 Non era l'unica ovviamente. Federica scopre che esiste un sottobosco di persone che spostano i like come fossero i truffatori delle tre carte all'angolo della strada. E aziende che ti valutano per il numero di followers. Ma anche che in quel mondo è tutto apparenza e che per il compenso di una sponsorizzata l'etica viene brutalmente calpestata.

 Quello sembra l'unico modo per lavorare e progredire così Closette firma il patto col diavolo… un demone che richiede sempre di più.

 Col passare del tempo però, Federica inizia a mostrare segni di sofferenza. Quella situazione non le sta più bene. Ha bisogno di realtà. Nasce quindi la sua seconda vita su Instagram: quella della donna libera, che usa il suo nome e le sue competenze senza sotterfugi  e che può davvero gioire del proprio lavoro.  

 Al punto da raccontare le “CONFESSIONI DI UN INFLUENCER” in un libro pubblicato nel 2023 da Fabbri Editori. Perché è tempo di aprire gli occhi e iniziare a vivere i social in modo più consapevole. Il suo modo di comunicare è talmente chiaro e senza giri di parole che non puoi che esclamare: "Ah ma allora è possibile!!! Mi sentivo stran∂ e fuori dal coro e invece..."

 

 

 

 

 

 

Coinquilin* di paroleparole: