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 "Voglia di rinascita"

 

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 Nel corso dei decenni, la donna è sempre più passata da musa ispiratrice a interprete e cantautrice.

 Alcune hanno iniziato come coriste: intonate sì, ma in sottofondo, dietro a un uomo che cantava. Altre hanno iniziato come interpreti di brani da discoteca, dove il loro volto non appariva mai. Altre ancora erano nel coro parrocchiale o cittadino, confuse in mezzo ad altre bellissime voci. 

 Molte hanno trovato nella musica la forza e il coraggio per esprimere se stesse, cantando non solo dell'amore ma anche dell'indipendenza e dei loro sogni. E facendo musica molto migliore di quando erano "imprigionate" in rapporti tossici col proprio partner o con una casa discografica che cercava di direzionarle e in qualche modo snaturarle.

 Sono così diventate muse ispiratrici per altre donne. Che hanno tratto forza dalle loro parole, dal loro carattere, dai loro suoni.

 Quando sentiamo una donna cantare, dietro c'è sempre una storia da conoscere....  e in questo post cerchiamo di scoprirle.

  

 

 

    

  

 Ma Rainey è la "madre del blues": era la musica che amava a cantare e l'ha battezzata lei con questo nome... un grido di rivalsa contro chi rifiutava lei e la sua razza.

 Ha vestiti vistosi e una voce potente, che canta e dà ordini.

 Non ha un carattere facile... perché non si sente rispettata come persona ma solo per come sa cantare, quindi decide che umiliare chi ha intorno sia l'unico modo per far capire a chiunque cosa si provi stando "dall'altra parte".

 Quel giorno del 1927 è a Chicago: deve registrare un nuovo album. Perciò arriva in ritardo, non vuole firmare la liberatoria (sa che quando lo farà perderà il suo potere sui bianchi) e crea problemi alla band, che registra nello scantinato sottostante.

 In particolare ce l'ha con Levee, perché è un ragazzo ambizioso (ha delle idee su come rendere più moderno il brano "Black bottom") e perché ha messo gli occhi sulla fidanzata di Ma, ballerina dello show.

 (Viola Davis è Ma Rainey in "MA RAINEY'S BLACK BOTTOM", film del 2020 di George C.Wolfe) 

 

 

 

 

 Aretha Franklin ha un talento naturale.

 Già a 10 anni il padre, un predicatore, la fa esibire per gli amici, il sabato sera, e in Chiesa, la domenica; la madre, che non vive con loro, la incoraggia invece a cantare solo per sé stessa e per il Signore.

 Quando la donna muore, la piccola Ree ne è traumatizzata.

 Da quel momento, pur impegnandosi molto, riesce ogni volta a sabotare le possibilità di carriera, a causa di uomini che vogliono controllarla o dei suoi personali "demoni". 

 Solo quando ricorda le parole della madre, e le comprende davvero, Aretha Franklin trova la sua voce, si tiene stretta chi le vuole bene davvero, si impegna per le cause che le stanno a cuore e diventa "la regina del soul". Nonostante tutte le ombre che porta dentro di sé.

 

 (Jennifer Hudson è Aretha Franklin in "RESPECT", film del 2021 di Liesl Tommy).

 

 

 Anna Mae Bullock non sarebbe mai diventata Tina Turner senza Ike. Lui è in cerca di talenti in un locale, lei si fa notare e Ike la trasforma da probabile infermiera a rockstar.

 Le insegna come cantare, come muoversi, come vestirsi, come posare. 

 Ma Ike è anche colui che non la lascia riposare quando sta male, la tradisce ("Si sta solo comportando da uomo", le dice la madre), la insulta, la picchia.

 Così, al momento del divorzio, Tina decide di tenersi quel cognome per cui tanto ha lavorato e che le serve quasi da monito, per ricordare che è lei ad avergli dato valore in tutto il mondo.

É lei quella che possiede talento, che ci mette energia, amore e passione: "Quando l’ho lasciato - ha dichiarato - stavo lasciando una vita di morte. Io non esistevo. Non avevo paura che mi avrebbe uccisa, perché ero già morta. Quando sono uscita da quella stanza, non mi sono mai più voltata indietro".

Tina Turner a 43 anni, è tornata sui palchi, venendo acclamata dal pubblico semplicemente essendo l’artista che era. Vincerà 12 Grammy e il World Music Award e avrà la stella nella Rock and Roll of Fame.

(Angela Bassett è Tina Turner nel film “WHAT'S LOVE GOT TO DO WITH IT”, di Brian Gibson 1993)

 

 L'arrivo di questa ragazza, nel 1994, ha riscritto i nostri sentimenti in anima rock.

 L'esordio ufficiale di Irene Grandi è sul palco di Sanremo. Non ha ancora 25 anni ma la grinta che ci mette cantando "Fuori" non si dimentica: racconta un'avventura che abbiamo certamente vissuto... "Io mollo tutto, io mollo e mi precipito / fuori, su una strada che va / gira la testa, domani ci lascerà / soli ingannati a metà / sorpasso da destra e son fuori / fuori alla città"

 L'album, che porta il suo nome, non è da meno. Pieno di canzoni d'amore in uno stile personale che ha segnato la carriera di Irene Grandi, proiettandola subito sul podio delle migliori cantanti, in quanto capace di descrivere la vita delle ragazze.

 C'è la risposta a quel "Sposati subito" che sempre ti senti dire: "Ma roba da pazzi oh ragazzi / Vivo libera e va bene così / Ma è roba da vecchi, non siamo diversi / Ma è roba da matti oh / Vivo libera e volo, sono libera volo".

 Ci sono i sentimenti che prendono il sopravvento nonostante la paura: "Io ti voglio bene, ma non so se mi conviene / Perché c'ho un po' paura di soffrire / Potrei anche morire / Allora onde evitare di farci male / Sarebbe meglio forse lasciar stare / Non mi chiamare più; io non ti cercherò / Però rimane questo grande non lo so / Lo spazio tra noi due potrebbe essere il paradiso / Ma come faccio io a dimenticare il tuo viso" ("T.V.B.")

C'è "(You make me feel like) A natural woman" come omaggio ad Aretha Franklin: un inno all'amore che ti valorizza e ti apprezza.

E c'è quella piccola perla che è "La cucina" ispirata al libro "Kitchen" di Banana Yoshimoto. Per entrambe è il posto migliore della casa, dove ci si sente sempre felici: "Non c'è un altro posto al mondo ora, che mi fa star meglio della mia cucina, se mi crolla tutto addosso ora, lei rimane in piedi ed io non sono sola". È verissimo: il rumore del frigo che "fischia più di un treno" e il profumo del caffè che "brucia sul gas" sono quello che di solito intendiamo col termine "casa". E chi di noi almeno una volta non ha pensato "anche oggi non va e allora giù, trasgredire di nutella così, ah, che caldo che fa, voglio chiudermi nel frigo tra fragole e olive Saclà"???

 

 

 Come capita a molte persone famose, l'infanzia di Daisy Jones è solitaria: una bambina bellissima ma, per i suoi genitori, totalmente invisibile.

 È semplice quindi per lei farsi notare sulla Strip, entrare nei bar e nei club, diventare una groupie. E altrettanto facilmente capisce chi vuole essere: "Essere la musa di qualcuno non mi interessava. Io non sono una musa. Io sono quel qualcuno. Fine della storia".

 Le fanno firmare un contratto ma le sue canzoni non piacciono. Piacciono invece quelle di un gruppo emergente che si fanno chiamare The Six. Ed è il produttore Teddy Price a spingere la ragazza a lavorare con più impegno sui brani che scrive e a duettare con la band, prima per una canzone, poi per un album e infine per una tournée.

 Daisy inizia a trasformare le certezze faticosamente costruite da Billy, il cantante e autore (in grave crisi dopo essere diventato padre: "Il solito vecchio triste racconto rock’n’roll: l’alcol, le droghe, le solitudini"), in dubbi, cambiando anche le dinamiche della band.

 Karen, la tastierista, descrive così quel momento: "Era un mondo di maschi. L’intero pianeta era un mondo di maschi, ma l’industria discografica… non era facile. Dovevi avere l’approvazione di un uomo per fare qualsiasi cosa, e sembrava ci fossero due modi per ottenerla. Il primo, che era quello che avevo adottato io, era comportarti come uno dei ragazzi. Il secondo era flirtare e sbattere le ciglia, cosa che a loro piaceva da morire. Ma Daisy si era come chiamata fuori fin dall’inizio. Il suo modo di fare era più che altro “prendere o lasciare” 

 Daisy Jones capisce di avere potere decisionale e lo mette in chiaro fin da subito. Lei e Billy hanno le stesse solitudini e paure e le stesse fragilità. La ragazza capisce però anche che non può direzionare il cuore altrui a meno che una sola canzone e un solo concerto non abbiano il potere di rivoluzionare tutto e di scuotere le fondamenta del rock'n'roll.

 (Riley Keough è Daisy Jones nel serial del 2023 "DAISY JONES & THE SIX", ispirato dal romanzo di Taylor Jenkins Reid, 2019, Sperling & Kupfer) 

 

 

 Annie Lennox è una delle migliori interpreti musicali del nostro tempo. Ha una voce angelica, capace di accarezzarti le orecchie, ma la sa indurire al punto da colpirti con la verità.

 "DIVA" è il suo primo albumi da solista ed esce nel 1992, appena terminata la proficua collaborazione con Dave Stewart per il progetto Eurythmics. Non delude le aspettative, essendo premiato come Miglior album britannico già nel 1993 e sarà anche riconosciuto come uno dei migliori del decennio (MetroWeekly lo metterà al primo posto).

 D'altronde si apre con "Why", dove Annie mette letteralmente in scena l'incomunicabilità attraverso una serie di immagini che si rincorrono e terminano con "tu non sai come mi sento".

 Evidentemente la relazione trova una fine perché vivere con il cuore spezzato è come "Walking on broken glass": non ci sono giornate felici per cui, anche quando splende il sole, si vorrebbero pioggia e vento.

 Ma nel buio più tetro, dove siamo rimasti in un silenzio che ci rende difficile anche respirare ("The gift"), arriva un angelo ("Precious") per toglierci la coperta di tristezza e liberarci.

 A quel punto ci ricordiamo di quando, ispirandoci alla natura ("Little bird"), abbiamo deciso di andarcene e seguire i sogni ("Legends in my living room").

La celebrità non ci appaga però, perché ciò che ci serve davvero nella vita è l'amore, che i soldi non possono comprare ("Money can't buy it"), ma che ci permette di nuotare negli occhi di qualcuno ("Cold") e di non preoccuparci del domani ("Stay by me").

È dunque come una lunga storia quella che Annie racconta in questo bellissimo album (ha anche delle splendide sonorità, molto raffinate), in cui rientrano anche la preghiera "Primitive" e l'omaggio alle atmosfere del passato di "Keep young and beautiful".

 

 Cambiare non è mai semplice eppure ci sono persone che, per arrivare a conoscere davvero se stesse, devono iniziare dalla trasformazione più radicale. Lady Gaga è una di loro.

 I suoi primi tre album la proiettano nell'Olimpo delle star soprattutto per i look esuberanti (tacchi vertiginosi; abiti di carne o di metallo o animalier; trucco pesantissimo "da mascherone"; capelli di tutti i colori e tagli possibili). Ogni sua apparizione è una rappresentazione artistica. Attenzione però, perché la ragazza è molto brava e dopo aver scritto musica per artiste come Rihanna e Jennifer Lopez, sceglie anche per sé canzoni assolutamente non banali.

 Già da "The fame", Lady Gaga ha le idee molto chiare su quanto il mondo dello spettacolo pretenda da un'artista, ovvero che sforni successi per  guadagnare soldi, che venda la propria immagine (possibilmente con qualche scandalo - "Viviamo per la fama e non c'è da vergognarsene") e che nasconda l'umanità per diventare un∂ div∂.

 In "Born this way" inizia a cambiare e a rivendicare che chiunque è nato superstar, ed ognun∂ è perfett∂ così com'è: i suoi Little Monsters leggono nei testi di questo album una ribellione totale al conformismo che li circonda ed ogni parola è un'iniezione di fiducia.

 Peccato per "Artpop": qui Gaga osa troppo, sia nei testi che nelle sperimentazioni musicali, mostrandosi autocelebrativa; non è più la cantante che accoglie chi si sente rifiutato, ma, col suo voler dimostrare che chiunque può farcela, posiziona sé stessa troppo in alto e la caduta non tarda ad arrivare.

 Qualcuno le porge la mano: è Tony Bennett, il popolare crooner, che, intuita la sua potenzialità vocale, le propone un album di duetti. Canzoni del passato, classici come "Anything goes" e "Cheek to cheek", che la riportano a un'epoca più semplice, dove bastavano piano e voce per affascinare il pubblico.

 È costretta quindi a ripensare a se stessa: capisce di aver messo elementi assurdi nel suo look pur di mantenere il controllo della situazione (tipo: "Vado ai VMA sexy ma muoio dissanguata sul palco per far capire cosa la fama abbia fatto a certe persone come Marylin Monroe e Anna Nicole Smith") e che è ora di cambiare.

Sostiene Hilary Clinton nella campagna presidenziale, riscopre la gioia di cantare in pubblico con semplicità e, in "American horror story" 6 (dopo essere stata la magnifica Contessa in stagione 5) recita il ruolo di una donna additata come strega solo perché non voleva essere proprietà di nessuno.

Lei stessa non si è mai sentita all'altezza del ruolo di popstar perché non si sentiva all'altezza come donna, ma ora sa quello che vale e, anche quando soffre terribili dolori, riesce a mostrarsi in pubblico senza troppo trucco e indossando solo jeans e t-shirt.

L'album successivo, che si intitola "Joanne" come la zia, morta giovane a causa di una malattia, e finalmente la vediamo mettere in musica la sua vera vita e la sua fragilità. I suoi messaggi sono chiari: ha fatto pace col passato.

 Non manca che la consacrazione di questa nuova Lady Gaga, la quale arriva mettendo insieme ciò che la appassiona di più, musica e recitazione: Bradley Cooper la sceglie come protagonista del suo film "A star is born", e questo remake fa conoscere il vero volto di Stefani Germanotta e fa ascoltare il suo talento da Oscar. La colonna sonora è infatti piena di brani struggenti che riescono a colpire pubblico di ogni fascia d'età.

 Da quel momento, Lady Gaga smette di nascondersi e rimane se stessa: sa di essere una cantante capace di produrre ottimi brani e sa di essere un'attrice che può affrontare ruoli profondi ma anche scomodi (come Patrizia Reggiani e Harley Quinn)... la trasformazione è compiuta.

 

 Christina Aguilera invece non ha mai avuto bisogno di trasformarsi. Fin da quando era piccola, e si esibiva al "Mickey Mouse Club" (insieme a Britney Spears, Justin Timberlake e Ryan Gosling) era chiaro, a  lei come a chiunque l'ascoltasse, che ha una voce potente e perfettamente riconoscibile.

 Inizialmente, la si è trasformata in una "rivale" di Britney con mossette e voce sussurrata (ricordi "Genie in a bottle", la sua prima hit?), poi si è enfatizzata la sua origine latinoamericana, poi si sono esplorate atmosfere sexy e suoni r'n'b (i tempi di "Stripped") e infine finalmente si è capito che bisognava lasciarla essere se stessa.

 Nel 2006 infatti Aguilera pubblica "BACK TO BASICS" dove jazz, soul e blues degli anni Venti, Trenta e Quaranta si mescolano col pop.

 Basta semplicemente farle omaggiare le canzoni di Etta James, Billie Holiday e Aretha Franklin, con cui è cresciuta, mettendo la sua storia personale nei testi, per creare un doppio album che ha collezionato dischi d'oro e di platino in tutto il mondo.

 Di certo "Ain't no other man", "Candyman", "I got trouble" e "The right man" non lasciano dubbi sulla loro ispirazione: un mix di languido e frizzante nelle musiche e dai testi semplici e sentimentali.

 Più personale è invece quello di "Oh mother" in cui Christina canta le sofferenze di una donna che ha avuto un uomo violento e lei la ringrazia per la forza che ha saputo tirar fuori dalle lacrime, dicendole di non ripensare al passato perché lui non tornerà più e promettendole che insieme continueranno a vivere e supportarsi.

Così come il testo di "Understand", dedicato a un uomo che ha saputo starle vicino quando lei lo allontanava e quando gli diceva che non avrebbe mai potuto capirla, visti tutti i muri che lei alzava per proteggersi.

Infine, segnalo le due chicche di "Thank you", coi messaggi vocali dei fans, e di "Enter the circus" che veramente ci fa entrare sotto quel tendone.

La forza di Christina Aguilera sta indubbiamente nella potenza della sua voce, ma qui, abbinata a sonorità del passato e alla profondità dei suoi sentimenti, raggiunge livelli emozionali capaci di lasciare un segno anche nell'ascoltatore più scettico.

 

  Si dice che “PURE HEROINE” di Lorde sia l’album dei 2010s. Descrive meglio di ogni altro quella generazione che fatichiamo a comprendere, gli adolescenti.

 La ragazza 16enne cresciuta in Nuova Zelanda scrive “Ribs” dopo un classico rito di passaggio: i genitori vanno via per una serata e ti lasciano la casa libera. Probabilmente la maggior parte dei teenager farebbe una festa pazza come Katy Perry in “Last friday night”... lei invece commenta "Barcolliamo per le strade a mezzanotte / E non mi sono mai sentita più sola / Fa così paura invecchiare". Oppure: "Mi sento adulta con te nella tua macchina / Lo so che è stupido / Abbiamo entrambi un milione di cattive abitudini da perdere / Non dormire è una" (“A world alone”)

 Tutto è competizione a quell'età: "Ci sono lotte per essere il mio migliore amico/ E le ragazze tirano fuori i loro artigli" (“The love club”)

 E c’è grande solitudine: "Tesoro diventa il clown della classe / Sarò la principessa di bellezza in lacrime" (Tennis court”)

 Ognunə di noi si è riconosciutə in quelle sensazioni… anche chi non aveva 16 anni nel 2010.

 

 

 

 Tammy Wynette (il cui vero nome è Virginia Pugh) è già una cantante piuttosto famosa quando viene presentata a George Jones, il re del country, per fargli da supporter in tournée.

 Il rapporto tra i due si intensifica al punto che lei lascia il marito, il compositore Don Chapel, e scappano insieme. Il loro amore è tangibile anche a livello professionale: vendono dischi e le esibizioni in coppia scatenano ovazioni tra il pubblico. 

 L’idillio però è turbato da un “vecchio amore” di George: l’alcol, che lo trasforma da marito perfetto e cantante di successo a uomo totalmente inaffidabile, insicuro e violento. 

 Tammy continua a vincere premi. Rimane incinta ma complicazioni durante la nascita della figllia Georgette la portano a subire un’isterectomia, che le lascia molti dolori.

 Esasperata, dopo l’ennesima violenza da parte del marito, se ne va di casa, decisa a non tornarvi mai più. Prende degli antidolorifici così potenti che i giornali temano voglia suicidarsi. 

La aiuta George Richey, marito di una delle sue migliori amiche e collaboratore artistico, e questo supporto le costa molto: deve rinunciare a stare con George, con cui ha ricucito il rapporto, e sposare Richey, subendo altra violenza a causa della gelosia pur di continuare a prendere antidolorifici, che lui l'aiuta a iniettarsi. 

Ma George Jones è pronto a correre al suo fianco quando lei ha bisogno… e a offrirle ciò di cui ha più bisogno: canzoni e magia.

(Jessica Chastain è Tammy Wynette nella miniserie del 2022 “GEORGE & TAMMY”, tratta dal libro scritto dalla figlia Georgette, che è anche produttrice)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coinquilin* di guardopenso: