Quando, da piccola, leggevo la fiaba della ragazza rinchiusa in una torre, accessibile solo tramite la formula: “Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli che per salir mi servirò di quelli”, pensavo che la fanciulla avesse preso il nome dai ravanelli.
La prima volta che li assaggiai, in pinzimonio, a fianco di carote, sedano e finocchi, adorai talmente quel sapore leggermente piccante da riuscire a immaginare perché quella donna li desiderasse tanto da spingere il marito a rubarli a una strega pur di poterli mangiare.
Solo anni dopo ho scoperto che il raperonzolo è una pianta selvatica violacea, mentre il ravanello è una radice, di colore rosso o bianco (ne sono esempi il daikon - che entra nel modello della dieta sana giapponese – e il mooli – tubero molto usato nella cucina thailandese) e dalla forma sferica. Nonostante questo, ancora oggi, seppur conscia del mio perdonabile errore, spero sempre di trovare una ricetta che li trasformi in un piatto così buono da far gola a quella donna che non ne poteva fare a meno.
Ho pensato a una zuppa fredda arricchita da formaggio fresco. A metterli nell’impasto degli spatzle. Negli spiedini, con pesce spada grigliato e melone, cospargendo il tutto di aceto balsamico e servendo con salsa di yogurt greco, miele, prezzemolo ed erba cipollina. Nel millefoglie di pane carasau con pomodori ciliegino, cetrioli, cipollotti e pecorino. Nel ripieno delle barchette di zucchine, con maionese, yogurt bianco, sedano, succo di limone, prezzemolo e polpa di granchio oppure quello dei baci di dama con pollo e zucchine grigliate. Nel centrifugato con peperone, fragole e pepe e servito come condimento per gli gnocchi di ricotta assieme a mirtilli, piselli, nocciole tostate, olio al rosmarino e polvere di caffè. Nella panzanella, con lamponi e gamberi rossi. In salsa con olio, aceto balsamico, pomodoro da insalata, tuorlo e cognac, da posizionare sulle uova sode o in coppetta come alternativa alla rosa nel cocktail di scampi. Intinti in una fonduta di formaggi. Su un crostino con pesto (fave, maggiorana, menta), cipolla rossa, feta, cipollotti.
Per ottenere però l’effetto fiaba sono andata a cercare le testimonianze degli esperti di settore.
Come quella di Damiano Donati, che lo svuota e lo riempie di foie gras e aceto: Una punta di acidità, morbida e non marcata, fa vibrare il piatto.
Di Simone Rugiati, che lo alterna ad arance pelate al vivo, finocchio, finocchietto, granella di pistacchi e pepe nero e lo serve al posto del sorbetto.
Di Francesco Panella, che cucina sashimi di ricciola con arancia, ravanello e sedano.
Di Jean-Georges Vongerichten, che nel 2012 dichiarò: All’ABC Kitchen preparo i gamberoni in modo molto semplice: li metto in fila con fette di ravanello e succo di limone.
Di Gianfranco Vissani, che pone al centro del piatto costata di vitella in casseruola con salsa tonnata (con ventresca e capperi) e purè di ravanelli alla panna, mettendo intorno un quadrato di insalata russa con un elemento per lato.
Di Csaba Dalla Zorza, che accompagna il salmone infornato al pepe rosa con ravanelli stufati in agrodolce.
Di Angela Maci, che lo cita in questo ricordo: Lo sapevate che le foglie di ravanello si mangiano? [-] La prima volta che le ho mangiate è stata con un caro amico e cuoco piemontese, che mi preparò un crostino fatto con il pane di segale caldo, il caprino che a contatto col pane caldo sprigionava profumi meravigliosi e donava vigore alla ricetta e un’insalata di ravanelli, radici e foglie. Saranno passati 12 anni, eppure da allora del ravanello non butto via nulla e l’ho fatto diventare uno dei miei antipasti di punta.
Di Gaston Acurio, che in un’edizione di Identità Milano ha presentato “Sgombro, mele, pere, radicchio, ravanelli, patate dolci, succo di mandarino”.
Di Gabriele Faggionato che serve Tom ka (zuppa di latte di cocco) con finocchi, ravanelli e sedano rapa.
Di Antonino Cannavacciuolo, che dispone in un piatto tre ostriche e accompagna ognuna con un cucchiaio di salsa di ravanelli allo yogurt e una decorazione di julienne di ravanello, foglie d’ostrica e gocce di olio extravergine d’oliva.
Di Carlo Cracco, che serve noci di capasanta alla piastra con crema di lattuga, ravanelli e mandorle salate.
Di Cristiano Tomei, che condisce i gamberi con sale di sedano, friggitelli, scaglie di gambi di prezzemolo e ravanello (Per me è il wasabi italiano, che ricorda la mia cucina dell’orto) e li accompagna con bucce fritte di patata. O
Di Massimo Bottura, che presenta il suo “Chicken, chicken, chicken, where are you?” con nidi di ravanello cinese abbinato a sedano e cipollotto tagliati a julienne, radunati come fossero balle di fieno e adagiati su una densa crema concentrata di pollo arrosto.
Di Michele Griglio col suo Risotto crema di asparagi, zafferano e rapanelli.
Di Nigella Lawson che li propone nel modo più semplice: arrosto, ovvero in forno con olio d’oliva ed erba cipollina (o cipollotti): Con il calore, la loro croccantezza pepata si trasforma in una succosità piccante…e quanto sono carine quelle cupolette rosa!
Il richiamo ai campi coltivati di Bottura mi ha fatto però venire in mente gli operai egiziani a cui, come compenso per il loro impegno nella costruzione della piramide di Cheope, furono dati 1600 talenti da spendere per l’acquisto di prodotti agricoli, come appunto cipolle, agli e ravanelli.
Ecco quindi che tale radice esce dalle cucine per rientrare di nuovo in un mondo di leggenda (lo stesso dove, nel 1862, Gioacchino Rossini trae ispirazione dal ravanello – e da altre componenti di un menù – per comporre brani per pianoforte poi riuniti sotto il titolo “Peches de vieillesse: quatre hors d’oeuvre et quatre mendiants”) e di fiaba. Ma stavolta non penso più alla fanciulla dai lunghi capelli, ma la immagino indossare uno degli esempi di fashion food presentati nel 2011 al Museo della Comunicazione di Berlino: un collier di ravanelli!!!