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 "Voglia di rinascita"

 

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 Morte di Stefano Cucchi.

 I giorni successivi i giornali sono simili a questo. Riportano tutti la foto di un ragazzo morto, con gli occhi pesti e ridotto quasi a uno scheletro.

 Immagini forti, ma, senza di queste, forse non si sarebbe avviata una catena di domande per ottenere delle risposte.

 Alla famiglia avevano detto che era morto per droga, per deperimento, per fattori incomprensibili. Ma alla famiglia Cucchi, specie alla sorella Ilaria, queste spiegazioni non sono bastate. Non hanno capito perché Stefano è stato arrestato e restituito in queste condizioni dopo qualche giorno senza avere la possibilità di vederlo o di parlare con lui.

Hanno voluto sapere di più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Hanno provato a farci credere che mio fratello "si è spento", come se fosse una cosa normale, perché si era lasciato andare. Ma non era così. Stefano è morto per responsabilità di qualcun altro e io, Ilaria Cucchi, voglio sapere di chi. E perché. 

 Nel 2010, Ilaria, alla ricerca della verità e della giustizia, scrive "Vorrei dirti che non eri solo - Storia di Stefano, mio fratello" per farla conoscere, di modo che il suo nome non rimanesse sepolto nei meandri delle carceri e degli ospedali sotto una marea di bugie e di domande senza risposta e di inutile burocrazia, promulgati dallo Stato e dalle istituzioni a cui era affidato nei suoi ultimi giorni di vita. Le parole che scrive sono quelle di una donna che ha visto la sofferenza sul suo volto e su quello dei genitori e vuole che il fratello sappia, seppure post mortem, che non è stato abbandonato da nessuno di loro, anche se poteva sembrare, visto il muro di negligenza che lo Stato ha creato.

 Stefano Cucchi era solo perché i carabinieri l'hanno perquisito mentre, il 15 ottobre 2009, era con un amico in macchina a fumare uno spinello, e gli hanno trovato cocaina addosso. Stefano Cucchi era solo perché, dopo essere stato portato in caserma, gli era accaduto qualcosa: aveva lividi e faticava a camminare, ma quasi nessuno gli ha fatto domande e, chi gliele ha fatte, si è accontentato delle sue risposte evasive. Stefano Cucchi era solo perché temeva che la sua famiglia lo odiasse per aver ripreso a consumare e spacciare droga dopo un lungo periodo di comunità di recupero perciò aveva lasciato scritto di non voler vedere nessuno. In definitiva, Stefano Cucchi era solo perché aveva capito che nessuno lo avrebbe aiutato.

 Lo capisce anche Ilaria, quando vede il suo cadavere (L'ultima effigie che avrei avuto di lui era un volto sfigurato, che ricordava i cadaveri dei deportati nei campi di concentramento nazista) e si rende conto che era stata superficiale e non si era accorta della solitudine e dell'insicurezza e della fragilità del fratello, dovute al suo aspetto fisico gracile che lo rendeva preda facile di chi era più grosso di lui (ed è per questo che aveva iniziato con droga e alcol e atti vandalici...per sentirsi più forte).

 Decide perciò che è ora di prendere in mano la situazione e di capire cosa gli sia davvero successo negli ultimi 7 giorni per ridurlo a quel modo, soprattutto perché nessuno ne vuole parlare e nessuno lo ha davvero aiutato, anche nei bisogni primari come mangiare, bere, chiamare il suo avvocato, cambiarsi d'abito, fingendo di non vedere le sue ferite né sentire i suoi lamenti.. Ilaria combatterà con fermezza, coraggio e determinazione, per oltre 10 anni, fra tribunali, ospedali, carceri, stazioni di polizia, parlamento e apparizioni in tv e sui giornali, fino ad ottenere la verità e restituire dignità al fratello.

Il suo è un libro non facile da leggere, ma scorrevole. Ogni giorno, da spettatori, vediamo dei nomi e dei volti, in televisione e sui giornali, e ne vediamo talmente tanti che ci sembrano vuoti. Questi libri ci aiutano a capirne la storia e l'umanità e non ci scopriamo poi tanto lontani dalla fragilità di Stefano, sperando di avere in cuor nostro la forza di Ilaria.

 

 

 Nel 2018 il regista Alessio Cremonini trasforma quegli ultimi sette giorni della vita di Stefano Cucchi nel film "Sulla mia pelle".

 Presentato al Festival di Venezia, vede un'interpretazione molto sentita di Alessandro Borghi ("Diavoli"), che si immerge totalmente nel ruolo facendoci commuovere e dandoci un'immagine visiva del ragazzo difficile da dimenticare.