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 "Voglia di rinascita"

 

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La tradizione popolare dice ai bambini di comportarsi bene durante tutto l'anno altrimenti la Befana, anziché i giocattoli e i dolci, porterà loro il carbone.

 Ecco, io sono la dimostrazione vivente che la tradizione popolare può essere una pallonara (leggesi "bugiarda") di dimensioni galattiche.

 A casa mia la Befana non si è mai fatta vedere, però la notte tra il 12 e il 13 dicembre arrivava Santa Lucia, non con l'asinello ma con la kawasaki, e io le chiedevo sempre di portarmi il carbone dolce, desiderio che spesso veniva realizzato.

 Questa specialità è chiamata anche "zucchero roccia" perché è come uno zucchero filato, ma molto duro e di colore e forma che ricordano il carbone: quando lo mangi labbra e lingua rimangono nere, ma tutto il palato gode di una magnifica sensazione di dolcezza, importante e anche un po' liquiriziosa (non so se esiste in italiano questo termine ma passatemelo...).

Ovviamente appena sono diventata tecnologa alimentare e ho smesso di credere a Santa Lucia (ma ancora per questa festività vado a comprarmelo, mi sono precipitata a studiare il segreto di questo prodotto.

Bisogna cuocere uguali quantità di zucchero e acqua, mescolare finché bolle, poi smettere. A parte si prepara una glassa con zucchero a velo, albume leggermente sbattuto e succo di limone, che poi viene versata nella pentola principale. A quel punto avviene una magia: il composto inizia a gonfiarsi, perciò va versato in una casseruola coperta con carta da forno, perché, una volta terminata questa prima reazione, inizia la cristallizzazione. Si rovescia poi il tutto su un piano con altra carta da forno: sembrerà freddo, ma in realtà è sugli 80°C, quindi occorrerà aspettare qualche minuto prima di modellarlo. Ah, dimenticavo: per dipingerlo, il colore alimentare va aggiunto sia allo sciroppo sia alla glassa.

Un'altra informazione importante che ho scoperto alla voce "carbone" è che quello vero non solo è utilizzato per il barbecue o per cuocere la pizza o per filtrare il whiskey (quello d'acero, preferibilmente) o la vodka (su quello di betulla) o per essiccare la pajata o per profumare lo speck, ma anche come ingrediente alimentare. Secondo una leggenda, pare che Cesare insegnò ai Britanni a versare acqua di mare su quello acceso e a raschiar via la crosta che si era formata per ottenere il sale; ovviamente non è certo che fosse stato proprio l'Imperatore, ma è sicuro che con questo procedimento si ottiene tutt'oggi il pregiato sale nero di Cipro e Hawaii. Oggi poi, il carbone vegetale viene spesso utilizzato dagli chef per creare un terriccio nelle loro creazioni di paesaggi commestibili (vedi "L'uovo apparente" di Pietro Leemann e "Sotto la chioma dell'albero" di Alessandro Gilmozzi) e non solo: Carlo Cracco per esempio serve i gamberi sui carboni ardenti (legni diversi mescolati a spezie, lasciati cuocere e poi riposare per 2 mesi) accompagnandoli con una salsa di yogurt, germogli di coriandolo, colatura di acciughe e miele di acacia, e Simone Salvini aggiunge carbone vegetale alle sue tagliatelle di seitan che, presenta, con tofu affumicato, su crema di scorzonera. I cinesi lasciano 3 mesi un uovo d'anatra in un impacco di acqua, sale, cenere, calce viva e carbone; il guscio apparirà marrone intenso - quasi viola -, il tuorlo verde scuro a cerchi concentrici neri e lo chiameranno "uovo centenario". La nostra pasta alla carbonara invece del carbone ha solo il nome, perché, a richiamare il popolare simbolo dell'epoca risorgimentale, ci pensa il pepe nero: lo stesso dicasi della carbonade valdostana e della polenta carbonera trentina.


Insomma, grazie a questi studi, le mie curiosità sul carbone me le sono tolte tutte, tranne una: ma perché la Befana non è mai venuta a trovarmi???

Coinquilin* di mangioscrivo